A PROPOSITO DI EUTANASIA E SUICIDIO ASSISTITO

A seguito dell’articolo comparso sul quotidiano “Il Riformista” il 21 aprile,
abbiamo inviato una lettera al Direttore, che confidiamo possa essere pubblicata.
Questo il testo della lettera, che proponiamo alla lettura di chi lo desidera.

A seguire pubblichiamo materiale di approfondimento, tra i quali le precisazioni dell’ufficio stampa dell’accademia per la vita.

Lettera al Direttore del Riformista

Stim.mo Direttore,

Ho letto quanto pubblicato sul quotidiano “Il Riformista” accogliendo il testo dell’intervento di mons. Paglia sulla questione della imminente legge in tema di suicidio assistito.

Raccogliendo nelle parole espresse da mons. Paglia la possibilità di un dialogo, ho ritenuto di poterle indirizzare questi pensieri, sperando possano costituire un contributo utile.

Sono medico, e presidente dell’associazione “Medicina e persona”. Scrivo partendo da una esigenza personale, che tuttavia è maturata e si è fatta più chiara proprio in forza dei molti anni di appartenenza a questa realtà culturale, fatta di operatori sanitari – medici e infermieri – ma anche di persone che con ruoli differenti si occupano del prendersi cura del bisogno di salute dell’uomo e che si sostengono in una condivisione amicale e nella ricerca di un giudizio comune.

Mi auguro al tempo stesso di poter intercettare il pensiero dei molti, con i quali tentiamo di aiutarci nel difficile compito di star di fronte alla domanda dell’uomo malato, che è sempre bisogno insieme di salute e di salvezza, e che non sempre possiamo guarire ma sempre possiamo curare.

La fine della vita, soprattutto nel dolore della malattia, pone in modo grave e urgente una domanda di senso, sul Fine della vita. Una domanda che dovrebbe essere viva in ogni momento dell’esistenza, ma che per natura tendiamo a dimenticare fino a quando le circostanze, specialmente se ineluttabili, ce la ripropongono con forza ed evidenza, dentro l’angoscia della sofferenza, specie se vissuta in una situazione carica di incertezza e spesso di abbandono e solitudine. Sappiamo perciò quanto sia delicato il vivere nell’imminenza della morte.

La morte ha da sempre segnato l’esistenza umana, ponendo quella che appare come l’ultima parola sul desiderio di bene e di felicità che ogni uomo sperimenta nella vita.

La nostra associazione vuole dialogare con chiunque abbia a cuore quella “comune e vulnerabile umanità”, come si esprimeva proprio Cicely Saunders, ideatrice e fondatrice delle cure palliative e del movimento Hospice.

È un fatto però, che la Associazione è nata da persone appartenenti alla Chiesa. E proprio questa comune appartenenza ci ha sempre mossi verso tutti, indipendentemente da posizioni culturali, appartenenze politiche o sensibilità religiose, coscienti della possibilità di essere amici e sostenersi nel comune cammino nella grande avventura umana.

Cicely Saunders stessa, ha sempre affermato come elemento determinante nella sua storia personale la sua appartenenza religiosa cristiana anglicana. L’esito di questa posizione è stata per Cicely la generazione di un modo nuovo di prendersi cura dei malati, anche quando la scienza medica non aveva più armi per guarire: un modo più bello e più affascinante, fonte di speranza e consolazione per i malati e i loro familiari, come ogni giorno molti di loro ci testimoniano. Così oggi tutto il mondo, benché caratterizzato da risposte plurali e diversificate, attribuisce alle cure palliative un valore universale e una particolare convenienza umana.

D’altra parte così è stato nella storia per la nascita stessa dell’assistenza e dell’ospedalità, dai primi secoli della cristianità, in una società che pur interessata alla medicina non sapeva accogliere il malato. La bontà di questo metodo di approccio della medicina occidentale è oggi riconosciuta dal mondo civile che considera inammissibile in una società l’assenza di una realtà sanitaria a tutela della salute, e possibilmente ad accesso universale come negli stati di welfare, non a caso di matrice prevalentemente europea, le cui radici cristiane possono anche essere recise ma non disconosciute.

Purtroppo il progresso è ambivalente: la scienza ha armato la carità di efficacia, ma il materialismo positivista ha ritenuto inutile se non dannosa la carità, operando un riduzionismo biologico con le conseguenze che noi scontiamo nella nostra modernità. La relazione è ridotta ad un surplus di umanità e non costituisce l’essenza dell’azione di cura. A fianco di una medicina estremamente efficace, le persone malate non si sentono più accolte nel loro bisogno reale di salute. Il paternalismo medico e l’accanimento terapeutico, verso i quali è rivendicata in modo assoluto con oggi l’autodeterminazione (come Lei osserva preziosamente nella relazione), hanno questa matrice e origine: si cura oltre ogni ragionevolezza fino a che è possibile, ma si getta la spugna abbandonando il malato, quando la scienza non può modificare la progressione della malattia.

È infatti possibile prendersi cura dell’uomo sofferente solo se la morte non è l’ultimo giudizio, l’ultima parola sulla vita.

Questa convinzione è umanamente desiderabile e, sola, alimenta la speranza che questo istante che ora vivo valga, in qualunque circostanza io mi trovi.

La verità, per la Chiesa, non è come Lei giustamente afferma, un insieme di regola prét-a-porter. La Verità è una Persona incontrata, entrata nella storia, e che la Chiesa afferma essere presente oggi e ancora incontrabile come all’inizio.

Non conosciamo l’esito che avranno le necessarie azioni di mediazione con i nostri amici e compagni di cammino dentro il percorso di definizione di una legge, che si realizzerà per certo e rapidamente anche nel nostro paese. Vi siamo profondamente interessati, ben coscienti anche dell’esistenza di interessi economici che ben poco hanno a vedere con il bene dell’uomo, e che incidono pesantemente nelle decisioni governative a molti livelli. Così come siamo consapevoli che le condizioni di salvaguardia indicate nella sentenza della Corte Costituzionale costituiscono un argine debole e facilmente mobile, come l’esperienza di altri stati ha già dimostrato.

Ogni epoca della storia ha avuto e avrà condizioni più o meno favorevoli perché la vita dell’uomo possa esprimersi, ma sappiamo anche che non dipende da questo la consistenza del nostro vivere e operare.

Ci interessa perciò sommamente il lavoro di riconoscimento di questa Verità, così da poterla offrire agli altri uomini, rendendola evidente nei frutti buoni dell’operato umano, che possono essere molto differenti proprio in merito ai gradi di libertà che il potere permette nell’assetto del vivere sociale.

Giorgio Bordin

Presidente Associazione Medicina e Persona