Cari amici,
dieci anni dopo aver lasciato la Presidenza di Medicina e Persona, mi ritrovo affidata la stessa responsabilità da parte del Direttivo.
Il gruppo di Colleghi che iniziò questa avventura nel 1999, diede forma al primo evento pubblico della neonata associazione con un Congresso dal titolo “Why Doctors are so unhappy? “riprendendo un articolo di Lancet dedicato alla “crisi” della professione medica.
Il mese scorso McCann Health Italy ha presentato i risultati dello studio internazionale “Truth About Doctors” sul ruolo del medico oggi.
A distanza di 20 anni e nonostante i cambiamenti epocali intervenuti, il fascino della professione è ancora per oltre il 90% dei medici intervistati nel “providing care”, ovvero nell’assistere il paziente, ma con non poche criticità: 1) la paura di azioni legali (37%); 2) il peso eccessivo della burocrazia (28%); 3) un rapporto sempre piu’ conflittuale con gli amministratori che governano il sistema, che sembrano perseguire uno scopo diverso da quello dei medici (15%) e non ultimo, l’imporsi di una tecnologia che sembra ridurre di molto il ruolo del soggetto come parte di una relazione professionale.
E noi?
L’assistere il Paziente è un’esperienza reale, positiva, capace, oggi, di sostenere la fatica del lavoro quotidiano? L’ambiente dove operiamo a diverso titolo, sostiene e supporta l’esplicitarsi di tale relazione? Ovvero “il potere” sembra prevalere? Il sistema premia realmente chi si dedica a tale scopo? L’acquisizione dell’indispensabile competenza tecnica e la frammentazione della conoscenza non sembra allontanarci dal compito piu’ importante?
C’è come una tentazione mortale a cui, chi sceglie la cura dell’uomo malato come propria “missione“ non deve cedere: la presunzione di autoreferenzialità della medicina, e la sostituzione del principio della responsabilità con quello della regola, con conseguente riduzione del medico ad applicatore di protocolli ed utilizzatore di tecnologia.
Negli ultimi 20 anni ciò che è veramente cambiato è l’idea che ogni aspetto del comportamento individuale (soprattutto là dove scotta, perché tocca l’etica, la responsabilità, la qualità dell’organizzazione e la qualità degli esiti del lavoro) debba sempre più essere sottomesso ad una regola, convinti che ciò sia l’unico modo di tutelare la bontà dell’agire umano.
Ne deriva un eccesso normativo, a tutti i livelli: Linee Guida a livello professionale, procedure nei sistemi di qualità, modalità di gestione del rischio clinico (stratificate in aspetti Aziendali, Regionali, Nazionali ed Internazionali), fino a implicare la giurisprudenza: Legge 38 sul dolore e cure palliative, legge Gelli sulla responsabilità professionale e sul contenzioso, alcuni aspetti dei provvedimenti attuali a salvaguardia dell’obbligo vaccinale, ne sono parziale testimonianza.
Ma la realtà clinica ci chiede ben altro. La sfida che ogni giorno ci viene proposta dall’incontro con la sofferenza umana ci costringe ad esporci, a prendere una posizione, an entrare realmente in rapporto con l’altro.
Scriveva T. Eliot: “ Essi (gli uomini) han sempre cercato di sfuggire dall’oscurità interiore ed esteriore, fino a sognare sistemi talmente perfetti che nessuno avrebbe più bisogno di essere buono “. (da “I cori della Rocca)
Oggi, forse ancora di più di 20 anni fa è sempre più urgente che vi sia un ambito di amicizia professionale, dove ci si sostenga rispetto a questa sfida, per il nostro bene e per quello dei luoghi dove operiamo.
Dr Felice Achilli
Presidente Medicina e Persona